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26/01/2022

Più abilitati nelle professioni

Nell’intervista rilasciata in data odierna al quotidiano economico - finanziario Italia Oggi, il presidente CNGeGL Maurizio Savoncelli interviene nuovamente sul tema delle lauree abilitanti, mettendo in luce come la semplificazione introdotta da questi titoli universitari possa riavvicinare i giovani all’esercizio della professione e favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro a fronte della sensibile riduzione dei tempi necessari  

È destinata ad ampliarsi la platea delle lauree abilitanti. Alle “pionieristiche” odontoiatria, farmacia, veterinaria, psicologia, geometra laureato, agrotecnico laureato, perito agrario laureato e perito industriale laureato potrebbe aggiungersi a breve ingegneria: il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, su impulso del presidente (e coordinatore della Rete delle Professioni Tecniche) Armando Zambrano, ha deliberato di richiedere al MIUR l’istituzione della laurea abilitante in ingegneria, conformemente a quanto disposto dall’art. 4 della legge n. 163/2021 “Disposizioni in materia di titoli universitari abilitanti”, che prevede che anche le categorie non direttamente coinvolte nell’articolato possano, successivamente, richiedere la trasformazione del titolo di laurea in un titolo abilitante. 

La convergenza di questa posizione con quella del Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, sostenitore (e in parte artefice) dei tanti provvedimenti che hanno condotto all’entrata in vigore della suddetta legge, segnala che la discussione sul tema diventa sempre più ampia, condivisa e costruttiva, a beneficio soprattutto del Paese e dei giovani: in che termini ne parliamo con il presidente Maurizio Savoncelli.

Presidente Maurizio Savoncelli, ritiene che la strada intrapresa dal Consiglio Nazionale degli Ingegneri sia una posizione solitaria o, al contrario, destinata a fare da apripista ad altre categorie?

Ci sono diversi segnali che vanno nella direzione di un confronto sul tema non più di nicchia: i rappresentanti dei 9 Consigli nazionali di Ordini e Collegi professionali aderenti alla Rete delle Professioni Tecniche (agronomi, architetti, chimici e fisici, geologi, geometri, ingegneri, periti agrari, periti industriali, tecnologi alimentari) sono consapevoli che questa è una grande occasione per rivedere il sistema di accesso nel suo complesso, con l’obiettivo di definire percorsi di studio e abilitazione chiari e definiti, grazie ai quali evitare sovrapposizioni tra figure professionali che non di rado generano un effetto boomerang, ossia la fuga dagli albi.

I dati relativi all’aumento degli abilitati in quasi tutte le professioni nelle sessioni 2020, svoltesi a distanza, sembrano convalidare la sua posizione: la semplificazione è un valore aggiunto.

Oltre al dato ragguardevole dell’incremento del 54% del numero degli abilitati rispetto all’anno precedente, è significativo sottolineare l’aumento del numero dei candidati all’esame di abilitazione, in netta controtendenza rispetto all’allontanamento generalizzato dalle professioni registrato negli ultimi anni. I motivi di questo exploit non sono ancora ben definiti, ma è evidente che la presenza del solo esame orale ha rappresentato un incentivo alla partecipazione, non solo in termini di semplificazione quanto di “soggettività” della prova. Quindi: se la semplificazione delle prove di esame ha portato ad un incremento del numero dei partecipanti e degli abilitati, è plausibile ipotizzare che la semplificazione introdotta dalle lauree abilitanti possa favorire (e riavvicinare) i giovani all’esercizio della professione, anche a fronte della sensibile riduzione dei tempi di ingresso nel mondo del lavoro. 

In un periodo storico, aggiungo, in cui i professionisti di area tecnica sono una risorsa strategica per l’attuazione delle misure previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, soprattutto nell’ambito della transizione ecologica e digitale.

Se l’Italia vuole davvero avviare una nuova fase di crescita strutturale nel medio–lungo periodo, deve obbligatoriamente investire sui giovani, apportando correttivi a quei fattori che dilatano enormemente i tempi di ingresso nel mondo del lavoro, in primis percorsi formativi e professionali fragili, che non trovano alcuno sbocco diretto in termini lavorativi. Nel commentare i dati Eurostat 2021, che collocano l’Italia in fondo alla classifica europea nel rapporto tra giovani e lavoro, gli analisti sono concordi nell’annoverare tra le cause principali di questo insostenibile primato l’assenza di percorsi universitari professionalizzanti che, per loro natura e concezione, creano un collegamento diretto tra ciò che si studia e ciò che richiede il mondo del lavoro. Le lauree abilitanti, e più in generale la valorizzazione dell’istruzione terziaria mediante azioni di orientamento in entrata e in uscita, possono favorire la transizione scuola-lavoro, contribuendo a ridurre sia la percentuale di disoccupazione giovanile che oggi sfiora il 30%, sia la percentuale di NEET, giovani tra i 20 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non si formano, pari al 29,4% (i Paesi Bassi, all’opposto, si fermano all’8,2%). Le misure e i fondi stanziati dal PNRR devono servire anche a questo: consentire alle nuove generazioni di sviluppare quelle competenze utili al Paese per affrontare una crescita strutturale competitiva, interpretando i segnali che provengono da un mondo del lavoro in continua e rapidissima evoluzione.

 

QUI l'intervista pubblicata su ITALIA OGGI